Libero Andreotti

Riconoscimento critico

Il 1981 può essere considerato un anno nodale per la rivalutazione storico-critica dell’opera andreottiana. L’impulso è stato dato da un maestro eccezionale per doti storiche, didattiche e umane: Carlo Del Bravo; a cui si deve il primo saggio per il giusto inquadramento critico dell’opera di Libero Andreotti, dando una lucidissima lettura a freddo della scultura fiorentina e italiana di quel tempo, che la critica precedente aveva probabilmente velocemente trascurato ed etichettato.

È indubbio come il Novecento italiano abbia subito delle deviazioni convenzionali che vedevano nel figurativismo andreottiano qualcosa di politicamente inequivocabile. Anche l’amicizia e la familiarità con Ugo Ojetti che lo sostenne durante gli anni ’20 e ’30 non contribuì a far svincolare lo scultore dall’etichetta politica. Lo stesso Ojetti fu colpevolmente dimenticato dopo la morte, proprio per l’enorme importanza avuta durante il fascismo e la stessa sorte rischiava Andreotti in quanto simbolo della convenzione novecentesca.

Simbolo di una convenzione che non gli apparteneva proprio per la sua non convenzionalità e intimità rese con forme di una bellezza sì tradizionale, ma con una profonda naturalezza, che domina l’ampia esemplificazione dei soggetti esplorati dall’artista, creando una sorta di filo conduttore fra tormento e gioia, fra fatica e divertimento. La ripresa della fortuna critica di Andreotti è dunque relativamente recente, e passa da Raffaele Monti e Carlo Del Bravo il quale, laureatosi con Longhi nel ’59, inizia ad insegnare nello stesso anno presso l’Istituto Statale d’Arte di Firenze, la stessa scuola dove Andreotti insegnò dal 1914 fino alla morte, avvenuta prematuramente nel ’33, e dove l’animo artistico del professore di scultura aleggiava ancora fra i suoi allievi diventati a loro volta scultori e insegnanti: come Bruno Innocenti che dimostrò di interpretare in pieno lo spirito e la cultura andreottiana; infatti dalla stessa produzione di Innocenti si può capire come Andreotti sia stato un grande maestro crescendo attorno a sé allievi valenti che hanno condotto la didattica nella direzione impostata dal maestro. Altri allievi importanti di Andreotti sono Agostino Giovannini, Antonio Berti e Lelio Gelli; poco più giovani sono Nello Bini, Domenico Minganti, Giulio Porcinai, Mario Bini, Enzo Innocenti, Raffaello Consortini, Raimondo Moroder, Pilade Moni, Edmondo Conetta e Giannetto Mannucci.

Gli studi storico-critici sono continuati in una ristretta cerchia di storici dell’arte: con la catalogazione del corpus dell’opera andreottiana sempre del 1981 da parte del Dott. Ferdinando Previti, prima come tesi di laurea, poi come lavoro sovvenzionato dal Comune di Pescia con una borsa di studio. Nel 1982 Raffaele Monti, relatore del Previti, pubblicava un volumetto su Andreotti per commemorare la riapertura del Palagio dal titolo “Fortuna e sfortuna critica di Andreotti” a sottolineare la singolare vicenda critica dell’artista. Questa nuova generazione di storici dell’arte ereditava con straordinaria qualità critica e dedizione l’impulso rinnovatore; fra questi Giovanna De Lorenzi, laureatasi con Carlo Del Bravo nel 1981 e, con lo stesso relatore, Silvia Lucchesi con una tesi incentrata sull’ultimo periodo dell’artista nel 1989.

Cultura europea. Libero Andreotti. Da Rodin a Martini. Catalogo della mostra

Il dualismo novecentesco fra Scapigliatura e Verismo, Naturalismo e Simbolismo trova Andreotti a sé stante, di certo non avanguardista, ma di certo non convenzionale, in una espansione unica e intima di forme espressive ricche di tensione e originalità che la straordinaria gipsoteca pesciana non può che confermare.

Biografia

Libero Andreotti (Pescia, 15 giugno 1875 – Firenze, 4 aprile 1933) scultore, illustratore e ceramista italiano, è considerato dalla critica moderna uno dei maggiori scultori italiani del primo Novecento. Le sue opere scultoree e pittoriche sono presenti in collezioni pubbliche e private di tutto il mondo. Lavora fin dalla tenera età come fabbro, a diciassette anni compie un corso per conseguire il diploma di Maestro elementare, non dando l’esame conclusivo.
Nel 1897 si trasferisce a Lucca con la famiglia, ed ha occasione di conoscere Giacomo Puccini, Alfredo Caselli e il poeta Giovanni Pascoli, che lo iniziarono agli interessi artistici e culturali. Si trasferisce a Palermo, lavora presso la Libreria Sandron come illustratore, disegnando caricature nel settimanale socialista La battaglia e il locale Il Piccolo. Di questo suo periodo di disegnatore-pittore conosciamo solo l’opera Viale alberato, esposta a Palazzo Pitti, nella Galleria d’Arte Moderna di Firenze.

Nel 1899 fa ritorno in Toscana, fermandosi a Firenze, dove continua il lavoro di illustratore, caricaturista, decoratore di ceramiche e pittore. Nel 1902, nello studio di Mario Gallin inizia la sua attività di scultore iniziando a modellare la creta. Frequenta l’Accademia e stringe amicizia con De Carolis, Galileo Chini, Moses Lèvy, Oscar Chiglia, Llevelyn Lloyd, Plinio Nomellini, Sem Benelli ed Enrico Sacchetti che diventerà poi il suo biografo.

Nel 1904, trasferitosi a Milano al seguito del Sacchetti, inizia a dedicarsi alla scultura di piccole dimensioni. Fu aiutato e sostenuto dal mercante d’arte e pittore Grubicy e da Aldo Carpi, entrando in contatto con l’ambiente dei divisionisti.
Grubicy, suo estimatore, lo porta, nel 1905, alla Biennale di Venezia dove partecipa alla VI Esposizione internazionale d’Arte Moderna esponendo quattro sculture in cera: Lucertolina, Madame Herosse, Adolescente, La gatta.

Cultura europea. Libero Andreotti. Da Rodin a Martini. Catalogo della mostra



Dall’anno successivo iniziano i suoi viaggi a Parigi, dove Grubicy organizza una prima mostra nella quale espone La Vetta. Il soggiorno parigino è per Andreotti fondamentale in quanto gli permette di sprovincializzarsi e di acquisire nuove competenze tecniche. Si unisce al gruppo della Giovane Etruria con Galileo Chini, Plinio Nomellini, Sergio Tommasi e Sirio Tofanari, e con il gruppo fiorentino partecipa alla VII Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia con il bronzo Purosangue.
Nel 1908 partecipa all’Esposizione Torricelliana a Faenza con Donna Vittoria. Contemporaneamente continua ad esporre nei Salons di Parigi con grande successo. Fra il 1909 e 1910 è presente alla VIII e IX Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Nel 1911 espone a Parigi nella sua personale allestita da Bertheim Jeune.
Nel 1914 scoppia la guerra e rientra in Italia: inizia qui la sua attività di insegnante all’Accademia di Firenze con Domenico Trentacoste e stringe una profonda e proficua amicizia con il critico Ugo Ojetti, che lo promuove nei maggiori centri artistici del nord Italia. Finito il servizio militare è nominato professore all’Istituto d’Arte di Firenze dove rimane fino alla morte. Tra i suoi allievi, divenuti poi maestri, si annoverano Bruno Innocenti, Lelio Gelli, Antonio Berti, Delio Granchi e Giannetto Mannucci. Partecipa all’attività culturale di Firenze con il gruppo della rivista Solaria. È questo un periodo di intenso lavoro che porterà i suoi frutti nella Mostra personale di Milano:
· 1921 – Monumento funebre a Vamba a Firenze. Mostra alla Galleria Pesaro di Milano. Sposa Margherita, la sorella del pittore e amico Aldo Carpi de Resmini.
· 1922 – Partecipa alla XIII Biennale di Venezia con il Ritratto di Aldo Carpi e San Francesco e alla Esposizione primaverile fiorentina d’arte moderna.
· 1922-25 – Vince il concorso e lavora al Monumento ai Caduti di Roncade e al Monumento ai Caduti di Saronno. Nel 1922, ricevette la prima commissione di grandi dimensioni (il monumento ai caduti di Roncade), seguiranno i lavori ai monumenti di Saronno, alla basilica di Santa Croce a Firenze, all’Arco della Vittoria di Bolzano.
· 1924 – Espone alla XIV Esposizione Internazionale di Venezia il marmo Giovinetta e la pietraforte Madonna con il Bambino.
· 1925 – Monumento funebre all’antiquario Bardini a Firenze. Partecipa alla Terza Biennale Romana.
· 1926 – Vince il concorso per un monumento nella Cappella votiva alla Madre Italiana in Santa Croce a Firenze. Partecipa alla Prima mostra del Novecento Italiano a Milano e alla XV Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia.
· 1926-28 – Lavora al Monumento ai Caduti di Bolzano e al gruppo della Vittoria per il Monumento ai Caduti di Milano, tormentata e lunghissima vicenda che accompagnerà gli ultimi anni di vita di Andreotti.
· 1928 – Partecipa alla XVI Biennale Internazionale d’Arte di Venezia con Cristo risorto, Fortezza, Giustizia, all’Exposiciòn de Arte Francès, Italiano y del Libro Alèman a Madrid e al Museo d’Arte Moderna di Mosca. A questa attività che lo vede impegnato in opere di grandi dimensioni affianca costantemente un’attività ritrattistica.
· 1929 – Monumento funebre a Dino Fantozzi a Pescia. Partecipa alla seconda Mostra del Novecento Italiano a Milano.
· 1930 – Partecipa alla XVII Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Nell’ottobre Libero Andreotti e Felice Carena creano il centro artistico-letterario l'”Antico Fattore”, che istituisce premi di poesia. I premiati degli anni 1931-32 furono Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo.
· 1931 – Partecipa all’Esposizione del Novecento Italiano a Stoccolma.
· 1932 – Partecipa alla XVIII Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia. Continua la sua produzione scultorea, nonostante i problemi di salute. La sua opera più importante e impegnativa è l’Annunciazione di Toeplitz.
Trascorre un periodo di riposo a San Pellegrino al Cassero, paesino nella campagna di Pistoia, e occupa il tempo disegnando a matita e a sanguigna e dipingendo a olio su cartone o su tavole di legno il paesaggio circostante, con scorci di paesi, case, alberi e nature morte. Il suo soggiorno è spesso allietato dalle frequenti visite degli amici fiorentini, tra i quali Raffaele de Grada e Alberto Caligiani che aveva una casa vicino a quella di Andreotti.
Gli ultimi anni della sua vita li trascorre a Firenze, sempre come professore dell’Istituto d’Arte di Porta Romana e animatore dell’ambiente culturale cittadino. Muore il 4 aprile del 1932 ed è sepolto nel cimitero delle Porte Sante di San Miniato al Monte in Firenze.

Gipsoteca

Negli anni ottanta del Novecento, Pescia acquisisce un notevole quantitativo di gessi del suo illustre concittadino: gessi preparatori come base delle sue opere, bozzetti, repliche. Essi costituiscono oggi la Gipsoteca Libero Andreotti, allestita nei locali dell’antico Palagio comunale.

Gipsoteca Libero andreotti

Tali opere, generosamente donate dopo la morte dell’artista dalla famiglia Andreotti all’amministrazione civica, fondano quindi una straordinaria collezione, e costituiscono il giusto riconoscimento nei confronti di un artista nodale per la comprensione e la definizione della scultura italiana primonovecentesca.
La gipsoteca Libero Andreotti è stata inaugurata alla fine del 1992 nelle sale opportunamente restaurate e felicemente allestite da Raffaella Melucci e Stefano Nardini[1], del Palazzo del Podestà detto il Palagio risalente al XIII secolo. La particolarità di tale museo, è l’offerta di un itinerario attraverso quella che è stata la produzione di gessi, realizzati per essere poi tradotti in opere in bronzo e marmo, rappresentative dell’intera opera andreottiana. La Gipsoteca Libero Andreotti, quindi, rappresenta un evento insolito nell’ambito del panorama museale italiano con i suoi ben 230 pezzi provenienti direttamente dallo studio dello scultore, è uno dei rari esempi in cui una raccolta riesce a documentare esaurientemente l’intero arco produttivo di un artista.
I gessi sono presentati con un ricercato allestimento espositivo, tematico-cronologico, convivendo felicemente con l’edificio storico caratterizzato dalle due grandi sale, scandite dal ritmo delle finestre e affiancate da salette più piccole.

Al piano terra sono collocati i gessi studiati da Andreotti per i monumenti ai Caduti di Milano e Bolzano che introducono il percorso museale, il quale prosegue nei piani superiori. Al primo piano la Pomona del 1912 inizia la cronologia artistica che verrà proseguita al secondo e terzo piano. Il piano primo, destinato ad esposizioni, convegni e eventi, permette alla Gipsoteca un’attività culturale differenziata nel tempo e nei contenuti.
Al piano secondo sono state raccolte opere fortemente significanti nella resa formale, fra cui “Le nouveau né“, dove due mani sostengono un bambino appena nato, tappa di un racconto domestico e simbolo di vita, e la “Danzatrice con la Maschera di Medusa“, sintesi di un movimento che non esaspera le forme. Qui si trova anche l’Archivio Andreotti che comprende manoscritti, riviste e foto d’epoca: anche questo donato al Comune dalla famiglia.
Forme di una bellezza tradizionale, le quali, pur risentendo di un’impostazione accademica, sono rese con una profonda naturalezza, che domina l’ampia esemplificazione dei soggetti esplorati dall’artista, creando una sorta di filo conduttore fra tormento e gioia, fra fatica e divertimento.

Sede

Come già detto, la Gipsoteca è ospitata nel Palazzo podestarile di Pescia, antica sede del Podestà, il cui primo nucleo, del XIII secolo, ha subito tutta una serie di modifiche fra il XVII e il XX secolo, dopo una ricostruzione quattrocentesca, per renderlo consono alle mutate destinazioni d’uso. A tali trasformazioni si è cercato di porre rimedio con i lavori di restauro precedenti all’allestimento museale durate un ventennio.
Il Palazzo del Podestà fu edificato nel XII secolo con preciso intento di accogliervi le pubbliche riunioni, custodire i documenti pubblici, ospitare i pubblici uffici e quale residenza del Podestà fino al 1424. Esso è stato in seguito continuamente trasformato ed ampliato nel corso dei secoli per diversi utilizzi (prigione, banca del Monte Pio, scuola pubblica, caserma, arsenale, teatro, ospedale militare, falegnameria). Il restauro, iniziato negli anni ’70 dalla Soprintendenza ai beni Ambientali ed Architettonici per le Province di Firenze e Pistoia e poi conclusi dal Comune di Pescia, lo ha restituito alla comunità. Oggi, con l’allestimento permanente della Gipsoteca Libero Andreotti, si impone decisamente all’interno del panorama culturale toscano.

Cataloghi inventari e metadati disponibili

Al piano secondo si trova l’Archivio Andreotti che comprende manoscritti, riviste e foto d’epoca: anche queste donato al Comune dalla famiglia.
Tutte le opere sono catalogate a stampa nel: Repertorio delle schede di catalogo – Comune di Pescia II – Beni Artistici e Storici, Roma 1986. Nella stessa data la collezione è stata inserita nel progetto di catalogazione dell’ICCD[2] per la produzione di un videodisco al momento non consultabile. Consultabile dagli studiosi è invece il catalogo a schede OA a cura della Soprintendenza ai Beni Storici Artistici di Firenze in formato cartaceo. Nel 1983, Ferdinando Previti compila le schede OA per l’Istituto Centrale per il catalogo e la documentazione. L’ICCD ha definito nel tempo diversi modelli per i beni culturali suddivisi in varie tipologie. Ogni tipo di bene ha una propria scheda catalografica e una normativa di riferimento.

[1] Gipsoteca Libero Andreotti Pescia , a cura di Ornella Casazza, , Firenze, Toscana Musei, 1992, 18-21.

[2] L’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, all’interno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC), definisce le procedure, gli standard e gli strumenti per la Catalogazione e la Documentazione del patrimonio archeologico, architettonico, storico artistico e demoetnoantropologico nazionale in accordo con le Regioni; gestisce il Sistema Informativo Generale del Catalogo e svolge funzioni di formazione e ricerca nel settore della catalogazione.

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